La scelta di andare a vivere a Milano, non è stata semplice, è stata sofferta, ma necessaria.
Nella vita ci sono delle priorità e la mia è stata curarmi. Ho dovuto lasciare tutto, famiglia, casa, lavoro, l’attività dell’associazione dei pazienti fibromialgici che rappresento in Sicilia, ogni mia certezza, ogni mio punto di riferimento.
Sapevo che sarebbe stato difficile, ma avevo analizzato e preventivato tutto, quindi ero pronta e forte, consapevole che potevo farcela e ritornare presto a riprendermi tutto quello che mi apparteneva e che avevo lasciato.
Ma non avevo messo in conto il COVID-19.
Mi sono trovata nel mezzo di una pandemia, proprio nell’epicentro del contagio, da sola, immunodepressa e senza capire cosa fare. Non ho mai pensato di lasciare Milano e tornare a casa appena ho compreso la pericolosità di questo virus; ho percepito che fuori dalla mia porta c’era l’inferno, un continuo passare di autoambulanze, la gente a casa moriva sola senza che nessuno se ne accorgesse se non dopo giorni, così è toccato al mio vicino.
No, non sono andata a casa, se fosse successo qualcosa ai miei per causa mia, non me lo sarei mai perdonata.
Ma non vedo mio figlio da più di tre mesi.
Non ho pensato di tornare anche quando da sola, ho dovuto gestire un attacco virale; non riuscivo a badare a me stessa e nessuno poteva venirlo a fare.
Ho omesso molti particolari in quei giorni ai miei familiari, non volevo farli preoccupare e angosciare più di quanto lo erano e ho tenuto tutto dentro, paura, sofferenza, imparando ogni giorno a inventarmi un modo per non crollare.
Ho continuato a reggermi, sorreggendo gli altri, i pazienti, ho percepito la loro paura, il senso di abbandono, il peggiorare della sintomatologia e ho capito che dovevo continuare a esserci e se da un lato tutto questo mi sfiancava ancora di più, dall’altro mi dava la forza di non mollare. Dovevo loro regalare un sorriso per fare capire che andava tutto bene, che non dovevano farsi soggiogare dalla situazione che vivevano, ma forse quel sorriso era un modo per crederci anche io. Sono diventata un esempio, se riuscivo a resistere io, figuriamoci loro.
Abbiamo come associazione sostenuto i pazienti, offrendo ascolto, supporto psicologico, aprendo sportelli online, abbiamo fornito l’accesso ad attività fisiche mirate, attivato servizio di domande e risposte, per rispondere ai quei pazienti che hanno avuto dubbi sulla propria malattia e sul proseguo di cure, ma che non potevano andare in un ambulatorio e incontrare un medico
Qualcuno mi dice è troppo quello che hai vissuto, malattia, isolamento e soprattutto solitudine.
Tante volte mi sono chiesta il perché.
In questa solitudine ero sola con me stessa, quella me stessa di cui ho sempre avuto paura, perché malata e dalla quale sono sempre fuggita. Adesso è diventata la mia migliore compagna di vita, seppur malata, debole, atterrata; ho imparato ad accettarla e volerle bene, a rispettarla, ma soprattutto a guardarla in faccia e non avere più paura di lei.
Ho ritrovato me stessa e ancor di più voglio donarmi così come sono agli altri.
Io il mio perché l’ho trovato anche stavolta.