L’importanza dell’educazione terapeutica per il paziente fibromialgico

Secondo la definizione data dall’OMS nel 1998, l’educazione terapeutica è quell’intervento che permette al paziente di acquisire competenze che lo aiutano a vivere in maniera ottimale con la sua malattia.
L’educazione mira ad aiutare il paziente e la sua famiglia a comprendere la natura della malattia, i trattamenti, lo addestra nell’abilità di autogestione e adattamento nella sua particolare situazione di cronicità.
Questa capacità di adattamento e autogestione, richiama il concetto di empowerment, ovvero quel processo attraverso il quale le persone possono acquisire un maggiore controllo sulle decisioni e sulle azioni che riguardano la loro salute.
L’educazione, presuppone un maggiore coinvolgimento del paziente nel processo decisionale di cura; il paziente ha consapevolezza della propria malattia, può lui stesso mettersi al centro del proprio processo di cura per garantire un’adesione ottimale alla stessa e diventa consapevole e autodeterminato, acquisisce autoefficacia, comprende le proprie capacità di reazione, di gestione e questo incide positivamente sul successo della terapia.
E’ importante per favorire nel paziente lo sviluppo dell’empowerment, che si instauri un rapporto di particolare fiducia, di onestà, di rispetto, cortesia e condivisione tra lui e il medico.

Il medico deve avere chiaro che per sostenere una persona affetta da malattia cronica, occorre motivarla ad essere protagonista della cura in modo che le conferisca potere decisionale. In questo processo ciò che è fondamentale sono: il contenuto, ovvero quello che viene detto e la relazione, ovvero il modo in cui viene detto.
Al paziente bisogna spiegare cosa è la patologia, perché si prescrivono determinati antidepressivi e anticonvulsivanti per esempio, senza questa comunicazione si rischia di generare tanta confusione nel paziente con una sua conseguente scarsa aderenza alla terapia, perché se non è consapevole ,se non conosce gli effetti collaterali delle terapie, al primo problema abbandona la cura.
Molto spesso i pazienti che ricevono la diagnosi senza una spiegazione e informazione sulla patologia, sono impauriti, non sanno cosa li aspetta, cosa fare e iniziano a cercare sul web risposte, che purtroppo rischiano di indirizzarli verso percorsi errati e alla continua ricerca di soluzioni che non esistono.
Ma se da parte del medico occorre che ci sia un’attenta presa in carico, una buona comunicazione, l’ascolto e l’empatia, da parte del paziente occorre che ci sia la capacità di comprendere le informazioni sanitarie e di utilizzarle per prendere decisioni sensate e corrette sulla propria salute e assistenza medica.
Il paziente fibromialgico vuole che il dolore scompaia, cerca la “pillola magica”, il farmaco che faccia passare tutto, non si rende conto che il controllo dei sintomi non passa solo attraverso una terapia farmacologica, ma attraverso una ristrutturazione della propria personalità e una migliore gestione della propria area emozionale.
E’ fondamentale che riconosca la patologia a livello individuale, è il punto di partenza di un cammino sicuramente lungo e non sempre lineare che prevede un percorso di comprensione e accettazione della natura della malattia.
Bisogna che si dia tempo nel raggiungere i miglioramenti, non si può raggiungere tutto e subito e deve comprendere che la malattia va gestita con un approccio multidisciplinare: movimento, riabilitazione, nutrizione, approccio psicologico, terapie complementari e alternative.
Occorre che comprenda che deve mettersi in gioco rimodulando, ristrutturando la propria vita, cambiando le abitudini, lo stile di vita.
Qualsiasi cambiamento spaventa, si sa, ma se non si comprende e si accetta la propria malattia che ha generato quel cambiamento, si rischia di soccombere e subirla, piuttosto che convivere con essa.
Il paziente fibromialgico fa molti errori, si sente in colpa quasi sempre, perché non è più in grado di compiere i normali gesti quotidiani e l’efficienza che aveva prima del comparire della malattia è scomparsa. Ha un atteggiamento catastrofico, infatti è convinto che per vivere deve assolutamente controllare il dolore e l’accentrarsi del pensiero, dei gesti quotidiani su di esso, non gli fanno cogliere i minimi miglioramenti.
Perde l’autostima, in quanto si convince che gli altri non lo considerano più efficiente, valido, utile.
Questa convinzione lo rende iperattivo, perché cerca in tutti i modi di dimostrare il suo lavoro, ma ciò lo porta a uno stato di stress e stanchezza che compromettono ancora di più il suo benessere fisico.
Si sente diverso, piuttosto che malato, tende a nascondersi, a non pesare, si isola soprattutto quando non è compreso, creduto, ascoltato.
La Fibromialgia è sconvolgente, avvolge chi ne è affetto dentro e fuori, c’è il dolore che non da tregua giorno e notte, la stanchezza che impedisce di compiere i più normali gesti quotidiani, i disturbi cognitivi che rendono insicuri, fragili, incapaci di reazione, ansia, depressione, colon irritabile, cistite, vulvodinia, disturbi del sonno….immaginate tutto questo  e molto altro che colpisce il corpo e la mente di una persona.Non è comprensibile come si riesca a sopportare, ad andare avanti, ma la capacità di adattarsi piano piano, permette di trasformare il dolore.
Portando infatti l’attenzione e concentrazione verso la partecipazione ad attività significative e cercando di raggiungere traguardi personali, ci si distrae, l’attenzione viene dirottata su altro e non solo sul dolore; questo permette di sentirlo e percepirlo meno.
Inoltre è importante, piuttosto che sforzarsi per evitare il dolore e ridurre i sintomi, sforzarsi di modificare i pensieri e le sensazioni negative causate dal dolore.
Una malattia cronica, la fibromialgia, annienta, fa perdere tutto, il lavoro, la famiglia, ogni certezza, la dignità a volte, ma ogni persona, seppur malata, ha un valore  e merita attenzione e rispetto soprattutto da se stesso; è vietato lasciarsi andare, non considerarsi, non combattere e reagire.
Deve valutare la propria esistenza, avere il coraggio di guardarsi dentro, di capire cosa è importante e cosa non lo è, cosa gli crea malessere, cosa può cambiare, allontanare, eliminare.
Niente è scontato, niente è immodificabile, occorre solo il coraggio di farlo.
Chi non comprende che l’educazione è necessaria, molto spesso è perché vuole restare inconsapevolmente nel proprio orticello di sofferenza, circondandosi di quella infelicità dolorosa dalla quale non vuole guarire, forse perché è un modo per attirare l’attenzione su di se.
Non hanno il coraggio, la forza, la voglia, non permettono a nessuno di scolpire quel muro per fare entrare un po’ di luce necessaria per riscaldare, illuminare il buio della loro realtà.
L’educazione sviluppa delle competenze, il paziente comprende meglio se stesso, la malattia, le terapie, come può affrontarla, come adattare il trattamento alle varie fasi della malattia,  come adattare il proprio stile di vita ai cambiamenti che la malattia impone, la capacità di autocura e auto-sorveglianza.
Acquisisce abilità cognitive, emotive e relazionali che lo aiutano ad affrontare e gestire la propria vita e gli permettono di adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente circostante.
Il paziente educato conosce la propria malattia, la gestisce in modo competente, previene complicanze evitabili, acquisisce atteggiamenti e comportamenti corretti.
Le associazioni dei pazienti hanno un ruolo fondamentale in questo percorso educativo, danno loro  la possibilità di fare rete, di mettersi a confronto, di stare uniti, di ascoltarsi e condividere la propria esperienza, il proprio vissuto, attraverso gruppi di auto aiuto per esempio o corsi psico-educazionali.
Inoltre cercano di fornire ai pazienti risorse, anche dopo avere terminato un progetto o un percorso, secondo il concetto di sostenibilità.
E’ quindi fondamentale rivolgersi ad esse, farne parte attiva, partecipare ai programmi e progetti che propongono, sono esse stesse uno strumento di grande e importante supporto per l’educazione
Pertanto diventa necessario che ci sia una comunicazione tra medici, pazienti  e associazioni, il paziente deve essere informato dell’esistenza dell’associazione oltre alla diagnosi e terapia.
Un supporto complementare, solidaristico e assistenziale che assicura una gestione completa e di grande efficacia per il paziente.
Più si conosce il proprio nemico, più si riesce a combatterlo, solo così, la Fibromialgia, da nemica può diventare una  compagna di vita.

 

Giusy Fabio

 

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